Maldestro non vuol dire incapace

Il 6-8 % dei bambini, della nostra società, soffre di un disturbo dello sviluppo motorio. In altri termini almeno 2 persone per classe sono impacciati e maldestri, e questo rende più che sufficiente il numero per ritenere che non si tratta di casi isolati sui quali si può soprassedere sorridendo. Ma quale è la causa del problema? Il problema è causato da un carente stato generale di benessere fisico, da una assenza di stimolazione e di esperienza motoria multilaterale o addirittura da una patologia? Qui il problema si complica e obbliga a una diagnosi differenziale da parte dello specialista. Ma, qualunque sia la causa,  non bisogna più solo prendere atto del loro impaccio motorio ritenendo che nulla è possibile.

Oggi l’impaccio motorio crea nel ragazzo e nell’adolescente un senso di inadeguatezza e stress che si riversa inevitabilmente nella sua vita di relazione. Ottenere delle normali performance motorie non significa soltanto essere bravo nello sport scelto, ma riuscire a comunicare con gli altri su un terreno di equità. Quante volte ci  è capitato di veder deridere un nostro compagno perché goffo e inadeguato alla situazione? La famiglia, in collaborazione con gli insegnanti di attività motoria, devono creare un percorso adatto alle specifiche esigenze del ragazzo. Far frequentare ad un ragazzo con limiti motori  una squadra di pallacanestro, calcio o pallavolo significa relegarlo ad essere lo zimbello del gruppo e dopo poco sicuramente abbandonerà la sfida con un ulteriore sensazione di frustrazione. I percorsi psicomotori insegnano a strutturare dei percorsi individualizzati che migliorino le capacità individuali.

Tra i punti salienti si devono analizzare: la stabilità posturale, lo stato di equilibrio statico e dinamico, l’integrazione bilaterale (lateralizzazione), la motricità fine. Un lavoro sistematico e ben strutturato, soprattutto se iniziato in età precoce, permette di ottenere risultati decisamente soddisfacenti. Ma le famiglie devono comprendere che inserire i propri figli in un percorso formativo alternativo non significa umiliarli ma creare per loro un percorso sostenibile che deve ridurre il senso di inadeguatezza e frustrazione personale. Solo con il sostegno della famiglia si può intervenire in modo costruttivo. La paura di evidenziare i problemi dei nostri figli potrebbe creare problemi permanenti ben più gravi.

Articolo redatto da
Prof. Diego Sarto
Direttore scientifico.
Docente di posturologia e chinesiologia applicata UNIVERSITA’ DI PADOVA

 

 

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